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Introduzione.
“Post fata Resurgo” è una locuzione latina che significa “dopo la morte mi rialzo”: è il motto dell’araba Fenice che risorge dalle proprie ceneri.
La leggenda della Fenice è culturalmente trasversale: trova i suoi natali nella mitologia egizia dove assumeva la forma di un Airone Cenerino dalle piume argentate e si consolida nella mitologia greca dove assume la forma definitiva di Fenice dalle piume dorate.
La Fenice è metafora della morte che coincide con la nascita, dell’inizio che corrisponde alla fine, come se fossero plasmati dalla stessa impalpabile sostanza: è l’eternità dello spirito che trova una forma terrena nella circolarità della vita.
La serie fotografica si sviluppa per questo in maniera simmetrica e circolare: nel suo allestimento prende la forma del polittico (tipica struttura delle pale d’altare medievali e rinascimentali caratterizzate da diversi elementi giustapposti), dove vicende religiose venivano narrate visivamente sotto forma di dittici o trittici.
Il dittico in bianco e nero che funge da preludio è l’archetipo, il modello originale e totalizzante dell’idea stessa di inizio e fine.
OPERA COMPLETA
PRELUDIO
Alpha e Omega.
L'ora dell'alba è la fine definitiva del giorno precedente, così come il tramonto è l'inizio del giorno successivo che si materializza nel dolce calare della luce ormai passata: così oscura appare la notte, un tempo dove inizio e fine si scambiano di posto senza che nessuno se ne accorga, un tempo dove il tempo riflette sulla sua natura in uno stato di quiete.
POST FATA RESURGO
Una segreta sospensione della successione lineare è caratterizzata dal volo mistico senza vincoli, una marionetta libera dai fili che invece di schiantare sul palcoscenico realizza la sua libertà e vola in una scenografia azzurra, senza nuvole.
La fuga dall'orbita del legame è dovuta all'elio, che sconfigge la massa inerte fatta di lattice anche quando questa si veste d'oro e d'argento: l'imitazione terreste dell'idea celeste è una metafora, non necessità pertanto dell'interezza. Le piume, un orpello della perfezione, devono bruciare prima di vestirsi d'argento e d'oro alla luce del nuovo vecchio giorno. Uno squarcio nei veli che fanno da preambolo al ritmo sempre uguale, un ritmo che è destino, un destino circolare.
Basta lasciarsi ingannare, fingere un cambiamento che è sempre lo stesso: accartocciare il velo già squarciato da altri e altri ancora, ricadere nei soliti futili buoni propositi. Cercare la giusta piega, restringere per espandere, cercare di distendere il caotico ripiegarsi della carta su sé stessa.
La meraviglia è vedervi volare una volta rinati: dal limbo delle idee avete preso una forma terrestre, dal bianco e nero siete piombati lievitando ignari della vostra pesantezza fatta di metallo prezioso. Avete assorbito la luce limpida dell'alba, e quella infuocata del tramonto. Che bello vedervi volare senza piega alcuna: la piega era soltanto il preambolo, l'annuncio della vostra venuta in forma mortale, la forma perfetta.
Tutto merito dell'elio.