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Introduzione all'Opera.

 

“Qui e Altrove” è una sorta di viaggio che prende vita tra le mura di casa, dove alcuni oggetti davanti a dei fogli colorati sono metafora di una nascita che si trasforma in partenza, partenza che poi diventa deriva. 

Il viaggio è inteso quindi come un allontanamento dal luogo della creazione: il “Qui”, dove l’idea prende forma per trasformarsi in immagine, conduce “Altrove”, un luogo misterioso dove non è più possibile viaggiare ma solo vagare.

L’opera è una tensione continua verso l’ignoto dove il significato perde ogni utilità esplicativa per farsi “segno”.

OPERA COMPLETA
CAPITOLO PRIMO

Preludio primo.

 

Prima dell'aurora, una luce diffusa che dal nero lentamente tutto avvolge. Risveglio, cinguettio, colore. Luce accecante oltre l'orizzonte, i primi raggi arrivano diretti e non più diffusi, si scontrano con gli oggetti creando ombre taglienti, ultimi ricordi della notte. Papaveri riflettenti, immobili, muti, colorano col segno del sangue la resurrezione del giorno. Sento il calore, lieve, regolare, preciso. Chiudo gli occhi e vedo il colore, lo seguo e mi conduce nel buio. La via è stretta e minuscola, scendo nel ventre come un minatore. Il sangue e il fuoco si fondono e scorrono come un fiume di lava ardente, mi trascinano fino alla nascita, inizio, perfezione. La Terra si mostra al centro del centro del ventre...è nata. Sinuosa, tiepida e rassicurante forma di madre, resto in silenzio ed ascolto. Un battito interrompe la quiete, uno strappo, un boato, e la farfalla mostruosa prende vita. D'improvviso viaggio all'indietro, come risucchiato, dal volo alla terra, dalla farfalla al verme. La luce mi chiama e inizio a risalire, dall'interno all'esterno...sono fuori. Risveglio, cinguettio, colore. Riapro gli occhi, la luce accecante è rimasta immutata. Rabbia improvvisa, voglio alzarmi e saltare ma resto inchiodato. Allora mi aggrappo al terreno, le dita rigide affondano fino a sentire un palpito. Avverto piccoli movimenti languidi e striscianti. La terra scivola e si strappa, riporto in superficie brandelli di vita sottratti al fango, umana violenza alla continua ricerca della luce.

CAPITOLO SECONDO

Preludio secondo.

 

Mezzogiorno, sole allo zenith. Luce diretta, dura ed asettica, perpendicolare al suolo. Le ombre non si allungano, restano nascoste sotto i piedi. Sono pesante, mi sento come un macigno schiacciato sul fondo. Avverto alcune presenze, guardo intorno. Molti altri come me restano fermi, inerti ed intrappolati mentre la fuga dall'alto sembra divertirsi. Miraggio, utopia, malinconia. Sento che il peso corrisponde alla carne, la carne alla terra, la terra alla trappola. Le presenze che mi affiancano iniziano tutte a bisbigliare...caos, confusione, brusio. Di colpo in lontananza un suono strano, un sibilo, vento che entra con la giusta inclinazione dal collo di una bottiglia. Vento diviso tra il collo e fuori, vibrazioni magiche. Adesso è tutto chiaro, separare la carne dal vento, la terra dal cielo, la trappola dalla fuga. Mi eccito. L'idea del volo, un corpo leggero fatto di aria e pronto al decollo. Fremito, brivido, odore di polline. Si avvicina la femmina perfetta, io attratto la seguo. Lei vola, io salto. Leggerezza ed incoscienza, non mi accorgo che salto sempre più in alto, ho vertigini orgasmiche. Torno sul fondo, raccolgo le forze e salto ancora, desidero fecondarla...arrivo solo a sfiorarla. Chiudo gli occhi e inizio a fluttuare, come se l'aria fosse un fluido più denso. Gioia incontrollata, naturale. La fuga è vicina ma non sono solo, gli altri mi seguono. Manca poco ma di colpo mi fermo. L'uscita è stretta, ci siamo bloccati. Ad un passo dall'orgasmo.

CAPITOLO TERZO

Preludio Terzo.

 

Tardo pomeriggio, strada bianca e dritta, di collina, senza catrame, polvere e sassi. Luce calda, prima del tramonto a primavera inoltrata. Panorama sulla destra verde, panorama sulla sinistra verde, grano non ancora maturo. Piccoli paesi di antica costruzione sulla pianura sottostante, in lontananza. Vento leggero, gradevole, porta profumo di terra. Leggero mi solletica, poi mi solleva, dolcemente. Linea retta, bianca, taglia il verde, non c'è più differenza tra collina e pianura. La linea scompare, si mischia alla terra, il verde al marrone legato ad altro verde, così di continuo, come un mosaico. Occhi chiusi, vertigini, il vento più freddo e forte. Ancora sono sereno, con gli occhi socchiusi vedo un mosaico minuscolo circondato dal blu, acqua e terra. Alzo gli occhi verso l'alto, blu scuro. Paura improvvisa, gelo, vento interrotto. Luce fredda e strana, tagliente...silenzio. La Terra, enorme, la fisso, mi fissa, non guardo altro, respiro ma non sento. La Terra, grande, attorno il nero. La Terra, media, lo sguardo inchiodato. La Terra, piccola, speranza svanita. La Terra, un punto azzurro, brillante nostalgia. Lo sguardo si perde, un punto azzurro fra altri punti, ma quale? Angoscia, deriva. Nel buio giro la testa, la luce prima tagliente ora è debole, quasi si perde fra le altre luci lontane. Sciame di punti, vortice, danza lenta e macabra. Sento la morte che mi circonda...solitudine. Non vedo più il mio corpo, sono solo sguardo vagante. Sciame di vortici, sciame di danze, unica danza unica bellezza, piango senz'occhi.  

Epilogo.

 

Mi fermo. Un muro di vetro, nero, riflette gli sciami...sciami nel vetro o sciami riflessi? Lo tocco, vibrante ma immobile. Guardo al di là del vetro, vetri infiniti si sfiorano...vetri infiniti o vetri riflessi? Specchi!

FINE.
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